Quanto i moderni sistemi di approvvigionamento ed i più innovativi digital procurement sono realmente adeguati ai nuovi mercati?
Negli ultimi vent’anni (almeno) abbiamo progressivamente assistito ad un’evoluzione degli uffici acquisti in più moderni sistemi di approvvigionamento e, successivamente, in un’evoluzione dei più moderni procurement in più innovativi digital procurement.
Se, da un lato, è innegabile che tali evoluzioni hanno decisamente condotto le organizzazioni aziende che le hanno implementate verso più efficienti analisi delle offering dei loro potenziali partner strategici e verso più efficienti analisi delle offering dei loro potenziali fornitori tattici e, in conseguenza, verso più efficaci introduzioni tanto degli uni (partner strategici) quanto degli altri (fornitori tattici) nei loro meccanismi operativi, dall’altro, forse, occorre registrare un’adottata pericolosa e strisciante direzione inficiante le qualità dei perimetri interni sui quali si decide di chiedere supporti esterni.
Facciamo un piccolo passo indietro per provare a farne due avanti a brevissimo.
Distinguiamo, innanzitutto, le organizzazioni aziende in funzione dei loro livelli dimensionali.
Prima categoria: top companies.
Nella prima categoria rientrano sia le organizzazioni aziende multinazionali sia le organizzazioni aziende nazionali multisite con almeno 500 unità (tra dipendenti e collaboratori) in organico.
Questa prima categoria di organizzazioni aziende si è, ormai da tempo ed in massima parte, orientata su digital procurement innovativi inserendo talvolta, nei processi di individuazione dei partner strategici e nei processi di individuazione dei fornitori tattici, complessi meccanismi di attrazione e complessi meccanismi di valutazione declinati su gare più o meno complesse focalizzate su logiche di contenimento dei costi come anche, all’opposto, su logiche meramente qualitative come, infine, su logiche (ideali) mixanti i due differenti approcci manageriali.
Seconda categoria: organizzazioni aziende strutturate.
Nella seconda categoria rientrano le organizzazioni aziende (solitamente nazionali e talvolta comunque multisite) fino a 200 / 250 unità circa (tra dipendenti e collaboratori) in organico.
Questa seconda categoria di organizzazioni aziende si è, anch’essa ormai da tempo ed in massima parte, orientata su procurement moderni inserendo, anch’esse e talvolta, nei processi di individuazione dei partner strategici e nei processi di individuazione dei fornitori tattici, complessi meccanismi di attrazione e di valutazione declinati (o non declinati) su gare più o meno complesse e, anche qui, focalizzate su logiche di contenimento dei costi come anche, all’opposto, su logiche meramente qualitative come, infine, su logiche (ideali) mixanti i due differenti approcci manageriali.
Terza categoria: organizzazioni aziende destrutturate.
Nella terza categoria rientrano le organizzazioni aziende (esclusivamente nazionali, e molto spesso padronali) aventi un esiguo numero di dipendenti e collaboratori in organico.
In tale terza categoria (nella quale rientrano, quindi e a pieno titolo, le mPMI caratterizzanti la quasi totalità del nostro tessuto imprenditoriale nazionale), non si è assistito ad un’evoluzione dei vecchi uffici acquisti (il più delle volte nemmeno fisicamente presenti ma funzionalmente incamerati dai soci, spesso anche amministratori delle organizzazioni aziende stesse).
Sembrerebbe, in prima analisi, palese che tale terza categoria (già sotto molteplici punti di vista titolare di gap consistenti con la seconda categoria e, in misura ancora maggiore, con la prima categoria) accumuli, anche sui meccanismi inerenti i sistemi di approvvigionamento, ritardi competitivi.
Eccoci allora arrivati al dunque, qui la questione si complica, e non poco.
Se da un lato è di tutta evidenza che sistemi antiquati (oseremmo dire artigianali) non consentono di segmentare i mercati ed individuare in conseguenza i soggetti più idonei (non in assoluto ma nello specifico per la propria organizzazione azienda), dall’altro è altrettanto palese che la spersonalizzazione sempre più forte dei processi (nei digital procurement avanzati, i pesi specifici delle risorse umane si riducono infinitamente fino ad azzerarsi) escludono di default la possibilità di affiancare, a meccanismi senza dubbio più efficienti, quelle efficacie che solo le relazioni personali sanno garantire, anche e soprattutto su dinamiche non meramente di breve periodo ma anche di medio periodo e lungo periodo.
Paradossalmente, una mPMI potrebbe esporsi, pure adottando un processo inefficiente, a rischi inferiori ed una middle company o top company potrebbe esporsi, pure adottando processi rispettivamente più efficienti o altamente più efficienti, a rischi superiori.
Siamo finiti in un corto circuito?
Forse no…
Proviamo a sintetizzare quanto sopra in quattro quadranti combinanti i minori o maggiori livelli di innovazione (processuale e digitale) con i minori o maggiori livelli di personalizzazione (empatica e relazionale):
Cosa ci dicono i quattro quadranti di cui sopra?
I quattro quadranti di cui sopra ci dicono chiaramente, stanti le diverse colorazioni, che, almeno in questo specifico caso, gli approcci meno digitali e più relazionali possono fornire maggiori garanzie qualitative sulle scelte finali dei fornitori tattici e, in misura superiore, dei partner strategici.
Non a caso, se il quadrante BASSA INNOVAZIONE / BASSA PERSONALIZZAZIONE si identifica chiaramente con il semaforo rosso ed il quadrante ALTA INNOVAZIONE / ALTA PERSONALIZZAZIONE si identifica chiaramente con il semaforo verde, tra i due quadranti BASSA INNOVAZIONE / ALTA PERSONALIZZAZIONE e ALTA INNOVAZIONE / BASSA PERSONALIZZAZIONE, entrambi identificati chiaramente con semafori arancioni, i colori arancione assumono tonalità più chiare (e quindi meno rischiose) nel primo caso (BASSA INNOVAZIONE / ALTA PERSONALIZZAZIONE) e tonalità più scure (e quindi più rischiose) nel secondo caso (ALTA INNOVAZIONE / BASSA PERSONALIZZAZIONE).
Cosa si deve desumere da quanto sopra?
Da quanto sopra si deve desumere che l’innovazione (processuale e digitale), ovviamente un must assoluto da perseguire, deve essere affiancata, su taluni ambiti, tra i quali certamente anche l’ambito del procurement, da una personalizzazione (empatica e relazionale) la quale sola può, pure con le inefficienze che spesso la caratterizzano, consentire di fare la differenza, soprattutto su dinamiche di lungo periodo.
L’intuitus personae (locuzione latina da tradursi in lingua italiana con l’espressione avuto riguardo alla persona ed indicante, prettamente in linguaggio legalese, quei negozi giuridici nei quali si ritengono di particolare rilevanza le qualità personali dei soggetti contraenti) non è in nessun modo by-passabile.
Anche qui, come in altri contesti, scelte meramente (o principalmente) oggettive, estranee a valutazioni soggettive ad opera di esperti di determinati mercati (e, quindi, anche esperti delle soluzioni erogabili dai diversi specialisti, negli stessi mercati o nei loro segmenti, operanti), nascondono pericoli.
Il procurement rappresenta quindi un’area aziendale critica perché necessitante di più approcci paralleli analizzanti da un lato le numeriche dei potenziali fornitori e dei potenziali partner e dall’altro le specificità caratterizzanti le erogazioni delle soluzioni (siano esse di prodotto o siano esse di servizio) che non possono, a tutta logica, essere esaminate da specialisti delle dinamiche di acquisto ma che devono essere, sempre a tutta logica, esaminate da specialisti delle dinamiche di delivery da impostarsi poi sulle soluzioni (siano esse di prodotto o siano esse di servizio) acquistate.
Cristiano Delbò